Il caso
G.M. si reca davanti il negozio U. e distribuisce volantini dallo stesso realizzati per avvisare la clientela sulle pratiche ritenute scorrette di U.
Due dipendenti di U. chiamano le forze dell’ordine, ritenendo di essere diffamati da G.M.
Successivamente G.M. viene denunciato da U. per diffamazione aggravata e processato dinnanzi il Tribunale di Milano.
La contestazione che viene mossa a G.M. è quella di cui agli artt. 81 II comma e 595 comma III c.p. perché con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso compiva atti finalizzati a ledere il prestigio e la reputazione dell’impresa U. consegnando ai clienti del punto vendita volantini contenenti frasi offensive su U.
G.M. viene condannato in primo grado dal Tribunale alla pena della multa, oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni alla parte civile costituita U.
G.M. si rivolge allo Studio per impugnare la sentenza di primo grado.
Le norme in materia
A fronte della contestazione operata dalla Procura della Repubblica e della valutazione del Tribunale di penale responsabilità di G.M., in sede di atto di appello si fondava l’impugnazione sull’omesso riconoscimento dell’esimente del diritto di critica ex art. 51 c.p.
L’art. 51 c.p. individua infatti due cause di giustificazione idonee ad annullare la rilevanza penale di un comportamento, ovvero l’esercizio di un diritto e l’adempimento di un dovere.
L’esimente dell’esercizio di un diritto si fonda sul diritto riconosciuto e tutelato costituzionalmente di cui all’art. 21 primo comma Cost., secondo cui ciascuno ha il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. All’interno del disposto costituzionale trova quindi un fondamento giuridico il diritto di critica, i cui limiti applicativi sono stati spesso oggetto di pronunce giurisprudenziali volte ad individuare gli elementi che consentono all’interprete di ricondurre un comportamento entro i limiti dell’esercizio di un diritto ex art. 51 c.p.
La Suprema Corte in numerose pronunce ha sostanzialmente precisato che il legittimo esercizio del diritto di critica si fonda, da una parte, sulla rilevanza sociale dell’argomento trattato e dall’altra sulla correttezza formale delle espressioni adoperate.
Il diritto di critica si realizza quindi nell’espressione di un giudizio, di una opinione, come tale fondata su un’interpretazione dei fatti e dei comportamenti dal punto di vista di chi la manifesta. Ed il giudizio, per definizione, non può essere rigorosamente obiettivo ed imparziale, in quanto è ineludibile espressione del retroterra culturale e formativo di chi lo formula.
La responsabilità di G.M.
G.M. si rendeva protagonista di una condotta di volantinaggio nei confronti di terzi al fine di mettere questi ultimi a conoscenza di circostanze soggettivamente rilevanti in tema di garanzie e tutele del consumatore nell’assistenza del venditore per eventuali malfunzionamenti del prodotto acquistato.
L’imputato aveva quale fine della propria attività il portare a conoscenza di terzi le ragioni per le quali non si riteneva, ancora soggettivamente, consigliabile rivolgersi a U. per l’acquisto di prodotti di elettronica. Ed infatti i volantini sono riconducibili proprio ad una valutazione personale, fondata su precedenti esperienze sia proprie sia altrui, in ambito elettronico.
La decisione della Corte d’Appello
All’udienza del processo di appello il Procuratore Generale chiedeva la conferma della sentenza di primo grado. La parte civile si associava, chiedendo la liquidazione delle spese legali del grado di appello.
La difesa si riportava al proprio atto di appello ribadendo la mancanza di alcuna volontà diffamatoria in capo a G.M., anche per effetto del diritto di critica.
La Corte di Appello assolveva G.M. dal reato contestatogli perché il fatto non costituisce reato per riconoscimento dell’esimente del diritto di critica.