Studio Legale DG & Associati

“Non voglio un avvocato che mi dica quello che non posso fare.
Lo assumo perché mi suggerisca come fare quello che voglio.”
P. Morgan

Lo Studio

Studio Legale DG & Associati a Milano Avv. Davide Granada

Lo Studio Legale DG & Associati prende il nome dall’Avv. Davide Granata, abilitato all’esercizio della professione e iscritto all’Albo degli Avvocati di Milano.

Lo Studio offre assistenza legale e attività di consulenza a persone fisiche e giuridiche, italiane e straniere, prevalentemente nelle materie del diritto penale e del diritto civile.

Lo Studio DG& Associati, composto dall’Avv. Davide Granata e dai

Lo Studio Legale DG & Associati prende il nome dall’Avv. Davide Granata, abilitato all’esercizio della professione e iscritto all’Albo degli Avvocati di Milano.

Lo Studio offre assistenza legale e attività di consulenza a persone fisiche e giuridiche, italiane e straniere, prevalentemente nelle materie del diritto penale e del diritto civile.

Lo Studio DG& Associati, composto dall’Avv. Davide Granata e dai suoi collaboratori, opera mediante una struttura snella e dinamica e ha come mission quella di offrire ai propri clienti un servizio di qualità, attento alle esigenze del cliente, improntato alla comunicazione e alla trasparenza.

Nello svolgimento della propria attività professionale, lo Studio vanta una solida rete di contatti con studi e professionisti dislocati nelle principali città italiane per garantire una assistenza completa al cliente.

suoi collaboratori, opera mediante una struttura snella e dinamica e ha come mission quella di offrire ai propri clienti un servizio di qualità, attento alle esigenze del cliente, improntato alla comunicazione e alla trasparenza.

Nello svolgimento della propria attività professionale, lo Studio vanta una solida rete di contatti con studi e professionisti dislocati nelle principali città italiane per garantire una assistenza completa al cliente.

Aree di Attività

Studio Legale DG & Associati a Milano Avv. Davide Granada
DG & Associati è uno studio legale, giovane e dinamico, con sede a Milano, che vanta quali propri valori principali
competenza, dedizione, trasparenza nonché attenzione al cliente e alle sue necessità
  • Reati contro la persona e la famiglia
  • Reati contro l’onore e diffamazione a mezzo stampa
  • Reati contro il patrimonio
  • Reati contro la libertà individuale
  • Reati fiscali e tributari
  • Reati societari e fallimentari
  • Reati contro la p.a.
  • Responsabilità amministrativa da reato degli enti ex D.LGS 231/01
  • Reati in materia di stupefacenti
  • Reati ambientali
  • Misure di prevenzione
  • Recupero crediti
  • Diritto di famiglia e A.D.S.
  • Contrattualistica
  • Materia Successoria
  • Diritto assicurativo e infortunistica stradale
  • Diritto societario
  • Assunzione lavoratori extraUE mediante procedura “carta blu”
  • Richiesta permesso di soggiorno famigliare per convivenza more uxorio
  • Domanda di rilascio della cittadinanza italiana
  • Domanda di rilascio e/o rinnovo del permesso di soggiorno

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Agosto 6, 2024Ordine di esecuzione di pene detentive Al termine di un giudizio penale l’Organo Giudiziario, se ritiene provata la penale responsabilità dell’imputato, emette una sentenza di condanna che può prevedere la pena dell’arresto o della reclusione (in base al reato). Qualora tale sentenza non venga impugnata (o venga impugnata ma la relativa impugnazione sia rigettata), la sentenza diventerà definitiva e quindi esecutiva. Pertanto, oltre ad essere annotata nel casellario penale, deve anche essere trasmessa alla Procura della Repubblica competente per territorio (naturalmente soltanto se non sia stata concessa la sospensione condizionale della pena). La Procura della Repubblica, preso atto di una sentenza di condanna da eseguire, redigerà un atto nominato ordine di esecuzione di pene detentive che sarà notificato al condannato (ed anche al difensore) con le indicazioni sia della sentenza di condanna sia della pena da scontare, così come disposto dall’art. 656 c.p.p. Sospensione dell’ordine di carcerazione L’ordine di esecuzione di pene detentive è immediatamente esecutivo, e pertanto le autorità di pubblica sicurezza notificheranno l’ordine provvedendo immediatamente all’arresto del condannato con trasferimento all’istituto penitenziario. Ciò tuttavia non accade nel caso in cui la pena da scontare sia inferiore ad anni 3 (o inferiore a 4 anni o a 6 anni in base a particolari requisiti indicati nell’art. 656 comma 5 c.p.p.). In tale caso, l’ordine di esecuzione contiene al suo interno anche un decreto di sospensione, che prevede che entro il termine di 30 giorni il condannato possa presentare un’istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessaria, per richiedere la concessione di una misura alternativa alla detenzione (artt. 47, 47 ter e 50 comma 1 Legge 354/1975). In caso di presentazione dell’istanza, non verrà eseguito l’ordine di carcerazione e il condannato rimarrà libero fino alla decisione del Tribunale di Sorveglianza in ordine alla misura alternativa richiesta. Misure alternative alla detenzione Come appena accennato, l’istanza da presentarsi nel termine di 30 giorni dalla notifica dell’ordine di esecuzione dovrà indicare quale misura alternativa alla detenzione sia richiesta. In proposito si tenga conto che vi sono sostanzialmente 3 differenti misure alternative richiamate dagli artt. 47, 47 ter e 50 comma 1 Legge 354/1975; esse sono: l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà. Come presentare l’istanza di misura alternativa alla detenzione L’istanza di misura alternativa può essere presentata direttamente dal condannato o dal suo difensore e dovrà essere depositata, unitamente alla documentazione attestante quanto scritto nell’istanza, direttamente alla Procura della Repubblica che ha emesso l’ordine di carcerazione. La Procura trasmetterà poi il fascicolo al Tribunale di Sorveglianza competente, il quale valuterà anzitutto l’ammissibilità dell’istanza, per poi concentrarsi sulle ragioni esposte e sul tipo di misura richiesta. [...]
Luglio 30, 2024L’incriminazione della condotta sottrattiva di un minore è anzitutto ispirata da principi di rango non solo nazionale, ma anche comunitario: gli artt. 8 e 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo e l’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sanciscono infatti espressamente il diritto del minore di mantenere un rapporto con entrambi i genitori. Nel codice penale sono inserite tre fattispecie relative alla sottrazione di un minore, vale a dire le norme di cui agli artt. 573, 574 e 574-bis c.p. Il reato di sottrazione consensuale di minorenni (art. 573 c.p.) La fattispecie incriminatrice in esame punisce con la reclusione fino a due anni “Chiunque sottrae un minore, che abbia compiuto gli anni quattordici, col consenso di esso, al genitore esercente la responsabilità genitoriale o al tutore, ovvero lo ritiene contro la volontà del medesimo genitore o tutore”. Il bene giuridico tutelato dalla norma de qua è quello della responsabilità genitoriale e, alla luce della lettura della norma, i soggetti coinvolti sono: Chiunque può ricoprire il ruolo di soggettivo agente (non vengono dunque puniti solo i genitori che pongono in essere una sottrazione di minore, bensì chiunque, trattandosi di reato comune); Il minore – maggiore di anni 14 – consenziente alla sottrazione (il consenso del minore costituisce il discrimen rispetto alla fattispecie più grave prevista dall’articolo successivo); Il soggetto passivo deve essere individuato nei genitori che vengono lesi nella loro responsabilità genitoriale. L’elemento oggettivo del reato in analisi è integrato, appunto, dalla “sottrazione del minore”, per tale intendendosi una condotta volta a provocare il suo allontanamento giuridicamente rilevante, dalla sfera di direzione o di vigilanza del genitore o del tutore, ovvero il suo trattenimento, anch’esso giuridicamente rilevante, al di fuori del luogo ove avrebbe dovuto fare ritorno, e ciò senza il consenso o contro la volontà del genitore o del tutore. L’elemento soggettivo si configura con dolo generico, costituito dalla volontà di sottrarre o trattenere il minore consenziente e con la consapevolezza di agire senza il consenso dell’altro genitore esercente la responsabilità genitoriale o del tutore. Sussiste il dolo specifico in caso di integrazione del secondo comma della norma (“La pena è diminuita se il fatto è commesso per fine di matrimonio; è aumentata se è commesso per fine di libidine”). Il reato è procedibile a querela della persona offesa (vale a dire del genitore dissenziente). Il reato di sottrazione di persone incapaci (art. 574 c.p.) L’elemento materiale del delitto è costituito dalla sottrazione di “un minore degli anni 14, o un infermo di mente, al genitore esercente la responsabilità genitoriale, al tutore, o al curatore, o a chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi”. La fattispecie incriminatrice punisce dunque diverse ipotesi sottrattive. Quella statisticamente più diffusa deve essere individuata nella sottrazione del figlio minore di 14 anni all’altro genitore, essendo questa spesso frutto di dissidi intercorrenti tra i genitori. Il delitto de quo può rimanere integrato anche in caso di allontanamento dalla sfera di direzione, tutela, cura o custodia, senza il consenso del genitore esercente la responsabilità genitoriale. Si tratta di un reato permanente che si caratterizza da un’azione iniziale di sottrazione del minore o dell’infermo di mente, e dal successivo protrarsi della situazione antigiuridica. Rispetto alla fattispecie trattata nel paragrafo precedente, è qui irrilevante il consenso del minore sottratto, trattandosi di soggetto di età inferiore ai 14 anni e, pertanto, ritenuto presuntivamente dalla legge non in grado di prestare adeguatamente il proprio assenso ad un allontanamento dall’altro. La sussistenza del consenso, or dunque, rileva unicamente in punto di trattamento sanzionatorio (è evidente che in caso di sottrazione avvenuta senza il consenso del minore la pena comminata potrà essere più alta). Anche in questo caso, il profilo psicologico del reato è integrato dal dolo generico, inteso quale volontà di sottrarre o trattenere un minore o un infermo di mente, con la consapevolezza di agire senza il consenso o contro la volontà del genitore esercente la responsabilità genitoriale. La pena è quella della reclusione da 1 a 3 anni ed il reato è procedibile a querela del genitore cui il bambino è sottratto. E in caso di conduzione del minore all’estero? Da ultimo, meritevole di cenno è la fattispecie speciale di cui all’art. 574-bis c.p., che si distingue da quella disciplinata dall’art. 574 c.p. in quanto è previsto l’ulteriore elemento della conduzione del minore all’estero. Quanto all’età del minore, l’aver compiuto i 14 anni rileva in punto di dosimetria della pena: la sottrazione del quattordicenne consenziente portato all’estero è infatti punita con la reclusione da 6 mesi a 3 anni (così il comma 2), a fronte di una pena prevista dal comma 1 che va da 1 a 4 anni.   [...]
Luglio 26, 2024La delibera condominiale Una delibera condominiale è una decisione presa dai condomini durante una assemblea condominiale. Queste delibere riguardano vari aspetti della gestione e dell’amministrazione del condominio e sono adottate in base a votazioni alle quali partecipano i condomini. Le delibere sono vincolanti per tutti i condomini, sia per quelli presenti alla riunione che per quelli assenti, purché siano state adottate nel rispetto delle norme previste dal codice civile e dal regolamento condominiale.   L’impugnazione della delibera Per impugnare una delibera condominiale, è necessario seguire una procedura specifica prevista dalla legge.  L’impugnazione deve essere fatta entro 30 giorni dalla data della delibera per i condomini presenti alla riunione, oppure entro 30 giorni dalla notifica della delibera per i condomini assenti. Prima di procedere con l’azione legale, è obbligatorio tentare una mediazione presso un organismo di mediazione civile. I motivi di impugnazione I principali motivi per i quali è possibile impugnare una delibera condominiale possono includere: a) Violazione delle norme del codice civile o del regolamento condominiale b) Delibere prese senza il quorum necessario c) Decisioni che ledono i diritti dei condomini d) Irregolarità nelle convocazioni delle assemblee La procedura di mediazione La mediazione civile è un procedimento extra giudiziale finalizzato alla risoluzione di controversie tra le parti coinvolte, condotto da un mediatore. La parte interessata dovrà anzitutto depositare una richiesta di mediazione, indicando i motivi della mediazione e allegando i documenti necessari a comprovare quanto sostenuto. La domanda di mediazione sarà poi notificata alla controparte assieme all’avviso di convocazione. In quella sede il mediatore spiega il procedimento di mediazione e le parti espongono la loro versione della controversia e i loro interessi. Possibili esiti della mediazione La procedura di mediazione può terminare con una conciliazione, che dovrà essere poi ratifica dall’assemblea condominiale. Se invece la mediazione non ha successo, la parte interessata potrà procedere con un ricorso al Giudice. Il ricorso deve essere presentato al tribunale competente del luogo in cui si trova il condominio. E’ possibile, in sede di ricorso, domandare la sospensione dell’esecuzione della delibera impugnata se si ritiene che ci siano validi motivi di impugnazione e che l’esecuzione possa arrecare un danno grave e irreparabile. [...]
Luglio 24, 2024IL CASO Nel 2020 M.T. veniva condannata dal Tribunale di Milano, in primo grado, sentenza divenuta poi definitiva, per il reato di rapina impropria alla pena di anni 3 di reclusione. In particolare oggetto del giudizio era la condotta di M.T. la quale si impossessava di un paio di occhiali Rayban in un negozio, del valore di Euro 100, spingendo la commessa del negozio per scappare. Tempo dopo M.T. veniva portata presso il Carcere di San Vittore per scontare la pena di cui alla sentenza della rapina del 2020, assieme a un paio di altre condanne nel frattempo intervenute. M.T. si rivolgeva allo Studio per essere assistita nei vari procedimenti definiti e pendenti, e ci si focalizzava anzitutto sulla prima condanna intervenuta, appunto per la rapina, essendo stata recentemente emessa una importante sentenza in materia da parte della Corte Costituzionale. LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE n. 86/2024 Con riferimento al reato di rapina, la Corte Costituzionale con sentenza n. 86/2024 emessa in data 16.04.2024 e depositata in data 13.05.2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, comma II, del codice penale, nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata sia diminuita in misura non eccedente 1/3 quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità. In via consequenziale, la Corte ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale del primo comma dell’art. 628, relativo alla rapina c.d. propria, nella parte in cui non prevede la medesima attenuante. Tale statuizione è stata assunta dalla Corte Costituzionale in ragione ed in estensione della sentenza n. 120/2023, la quale ha previsto la medesima diminuente per il delitto di estorsione, reato caratterizzato anch’esso dall’elevato minimo edittale di cinque anni di reclusione e, nel contempo, dalla possibilità di consumazione tramite condotte di minimo impatto, personale e patrimoniale. La Corte Costituzionale ha quindi introdotto la “valvola di sicurezza” dell’attenuante del fatto di lieve entità anche per il reato di rapina, osservando che, in simili fattispecie, il minimo edittale di pena detentiva, innalzato dal Legislatore alla misura di cinque anni di reclusione, può costringere il Giudice ad irrogare una sanzione in concreto sproporzionata, e in violazione ai principi costituzionali. LA STRATEGIA DIFENSIVA Trattandosi di condanna ormai definitiva, lo Studio presentava istanza di incidente di esecuzione a favore di M.T. affinchè il Giudice dell’Esecuzione competente rivalutasse la condotta della cliente per applicare la riduzione di pena derivante dalla lieve entità della rapina commessa. L’ incidente di esecuzione disciplinato dall’art. 666 c.p.p. costituisce infatti la naturale sede processuale in cui far valere la sopravvenuta illegittimità del titolo esecutivo nella sua dimensione dinamica dell’esecuzione della pena. L’ESITO DEL PROCEDIMENTO Il Giudice dell’esecuzione, a seguito di presentazione di istanza, fissava udienza per la discussione del contenuto dell’istanza difensiva e, qualche settimana dopo l’udienza, sciogliendo la riserva assunta, accoglieva l’istanza presentata, ritenendo che M.T. meritasse effettivamente una riduzione della pena inflitta. [...]
Luglio 18, 2024L’eredità digitale si riferisce al patrimonio digitale che una persona lascia dopo la propria morte. Questo patrimonio può includere diversi tipi di beni digitali e dati, come account sui social media, email, archivi cloud, criptovalute, contenuti digitali (foto, video, musica), e altro ancora. Il patrimonio digitale All’interno del patrimonio dell’eredità digitale troviamo per esempio: Account sui social mediaFacebook, Twitter, Instagram, LinkedIn, ecc. Ogni piattaforma ha proprie politiche per la gestione degli account dei defunti Account di posta elettronica (email) Gmail, Yahoo, Outlook, ecc. Accesso ai messaggi, contatti e altre informazioni importanti contenute nelle email. Archivi cloud e storage onlineGoogle Drive, Dropbox, OneDrive, ecc. Documenti, foto, video e altri file archiviati online. Criptovalute e portafogli digitaliBitcoin, Ethereum, e-wallets, ecc. Accesso alle chiavi private necessarie per trasferire le criptovalute. Abbonamenti e servizi onlineNetflix, Spotify, Amazon Prime, ecc. Informazioni sui pagamenti e contenuti acquistati o noleggiati. Contenuti digitaliFoto, video, musica La gestione dell’eredità digitale Il patrimonio digitale di ciascuno di noi risulta piuttosto ampio e comporta grande difficoltà in capo agli eredi per una corretta gestione. E’ quindi opportuno prendere alcuni accorgimenti quali per esempio: Inventario dei beni digitali Creare un elenco dettagliato di tutti gli account e i beni digitali, comprese le credenziali di accesso e le istruzioni su come accedervi. Designazione di un erede digitale Nominare una persona di fiducia che avrà il compito di gestire l’eredità digitale Testamento digitale Inclusione delle istruzioni specifiche nel testamento tradizionale su come gestire i beni digitali Backup e sicurezza Assicurarsi che i dati digitali importanti siano regolarmente sottoposti a backup e protetti con misure di sicurezza adeguate Il testamento digitale Il testamento digitale è il documento che disciplina la gestione e la distribuzione dei beni digitali di una persona dopo la sua morte. Tale testamento deve anzitutto identificare con precisione i beni digitali (e quindi account di social media e di posta elettronica, account di servizi di streaming, beni finanziari digitali, file digitali, siti web e blog personali ecc). Nel testamento deve poi essere nominato un esecutore digitale, incaricato di eseguire le istruzioni del testamento digitale, accedendo ai beni digitali su indicazione del de cuius, provvedendo poi a rispettare le indicazioni di quest’ultimo sulla gestione, ed anche cessione, dei beni digitali. [...]
Luglio 16, 2024Registrazione di conversazione È lecito registrare una conversazione, inclusa telefonica, tra due parti a patto che la registrazione sia effettuata da una delle parti coinvolte e presenti, anche senza informare l’altra parte. Se invece chi registra non è parte della conversazione, non essendo presente, si tratta di un terzo e in tal caso la registrazione diventa un’intercettazione, che richiede un’apposita autorizzazione; senza di essa, l’attività è illegittima. Utilizzabilità della registrazione nel processo penale La Corte di Cassazione ha più volte chiarito come qualificare e utilizzare una registrazione di conversazione. La registrazione è una documentazione di un fatto storico, che tramite la registrazione viene cristallizzato e di cui l’autore può disporre legittimamente, poiché il contenuto della conversazione entra nel patrimonio conoscitivo dei partecipanti legittimati.  La conversazione registrata diventa quindi una prova documentale, acquisibile nel processo penale tramite l’art. 234 c.p.p., che qualifica come documento qualsiasi rappresentazione di fatti, persone o cose tramite vari mezzi. Diritto alla privacy Non si può invocare il diritto alla privacy per la registrazione di conversazioni poiché il GDPR non si applica al trattamento di dati personali effettuato da una persona fisica per attività esclusivamente personali o domestiche, senza connessione con attività commerciali o professionali. Pertanto, non è necessario alcun consenso o informativa privacy per la registrazione di una conversazione con il soggetto presente. Diffusione della registrazione Anche se la registrazione è legittimamente utilizzabile come prova documentale in giudizio, la sua diffusione non è necessariamente legittima. Lo è infatti essenzialmente in due casi Per far valere un proprio diritto: La Corte di Cassazione ha stabilito che il consenso del titolare dei dati può essere derogato quando si tratta di far valere in giudizio il diritto di difesa. Questo significa che se la registrazione è necessaria per dimostrare un proprio diritto in una controversia legale, la sua divulgazione può essere considerata legittima (Cass. Sez. unite 3034/2011). Interesse legittimo: È possibile divulgare la registrazione se c’è un interesse legittimo, come nel caso del diritto di cronaca. Questo significa che se la registrazione serve a informare il pubblico su questioni di interesse generale e viene divulgata in modo responsabile, potrebbe essere considerata lecita. Fuori da questi contesti, la divulgazione di una registrazione di conversazione può violare la privacy degli individui coinvolti  e pertanto, la diffusione non autorizzata di una registrazione può risultare illegittima e comportare conseguenze legali. [...]
Luglio 12, 2024Lo sfratto è un procedimento attraverso il quale il locatore (proprietario dell’immobile) può ottenere il rilascio di un immobile da parte di un inquilino (conduttore) che non adempie alle condizioni del contratto di locazione, come il mancato pagamento del canone d’affitto o altre violazioni contrattuali. I motivi per lo sfratto I motivi principali per cui può essere avviata una procedura di sfratto sono: mancato pagamento del canone di locazione: l’inquilino non paga l’affitto nei termini stabiliti dal contratto. scadenza del contratto: Il contratto di locazione è giunto a termine e il locatore non intende rinnovarlo. altre violazioni contrattuali: l’inquilino non rispetta altre clausole contrattuali (es. subaffitto non autorizzato, uso diverso dell’immobile, ecc.). Lo sfratto per morosità Il locatore, tramite un avvocato, deve anzitutto notificare all’inquilino un atto di intimazione di sfratto per morosità e contestuale citazione per la convalida. In questo atto viene specificato l’importo del debito e la data dell’udienza in Tribunale. Se l’inquilino non paga il debito entro il termine indicato nell’intimazione, può comunque presentarsi all’udienza. Se non compare o anche comparendo non oppone validi motivi a sua difesa, il giudice può convalidare lo sfratto e ordinare il rilascio dell’immobile. Lo sfratto per finita locazione In caso di fine del contratto di locazione (per scadenza del termine per esempio di 4+4 in caso di uso abitativo) il locatore notifica all’inquilino un’intimazione di sfratto per finita locazione, specificando la data di scadenza del contratto e citandolo in tribunale per la convalida. All’udienza se l’inquilino non compare o comunque anche comparendo non oppone motivi a sua difesa, il giudice convalida lo sfratto. Esecuzione dello sfratto Una volta ottenuta la convalida dello sfratto, il locatore può richiedere l’esecuzione forzata. Il locatore notificherà quindi al debitore l’atto di precetto, che intima il rilascio dell’immobile entro una certa data. Se l’inquilino non lascia l’immobile volontariamente, si procederà allo sloggio vero e proprio mediante l’ufficiale giudiziario. [...]
Luglio 10, 2024Il reato di accesso abusivo a un sistema informatico è disciplinato dall’articolo 615-ter del Codice Penale. Questo reato si realizza quando una persona accede intenzionalmente a un sistema informatico o telematico altrui senza averne il diritto, oppure vi permane contro la volontà di chi ha il diritto di escluderla. La norma La norma prevede che: “Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza, ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni“. La pena è della reclusione da uno a cinque anni: Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, o con abuso della qualità di operatore del sistema. Se il fatto è commesso mediante violenza sulle cose o alle persone. Se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema, dei dati o dei programmi in esso contenuti o ad esso pertinenti. Se i dati, i programmi o il sistema sono di interesse militare o relativi all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico. Quando si configura il reato Il reato può essere commesso in due modi: mediante l’introduzione abusiva in un sistema informatico o telematico, oppure permanendo in tale sistema contro la volontà del titolare. L’accesso deve essere infatti abusivo, ossia non autorizzato dal titolare del sistema. Il reato riguarda i sistemi informatici o telematici protetti da misure di sicurezza. La protezione può essere di tipo tecnico (password, firewall, ecc.) o anche solo amministrativa. Per configurare il reato è necessaria la consapevolezza e la volontà di introdursi o permanere abusivamente nel sistema. Circostanze aggravanti del reato Sono previste alcune circostanze aggravanti, che aumentano quindi la pena prevista. E così infatti, per esempio, il reato è aggravato se il reato è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio. se il fatto è commesso mediante violenza sulle cose o alle persone. se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema, dei dati o dei programmi in esso contenuti o ad esso pertinenti. Come difendersi Se ci si accorge dell’accesso abusivo al proprio sistema informatico (account di posta elettronica o account social) sarà opportuno sporgere querela entro tre mesi dal fatto (o dalla scoperta). [...]
Luglio 5, 2024La revisione è un istituto del diritto processuale penale disciplinata all’art.630 c.p.p., che consente di riaprire un processo penale già concluso con una sentenza definitiva di condanna. In particolare la revisione penale ha lo scopo di garantire la giustizia e l’equità del processo, permettendo di correggere errori giudiziari che potrebbero aver portato a una condanna ingiusta. È uno strumento eccezionale e straordinario, riservato a casi particolari dove emergano nuovi elementi o situazioni che non erano conosciute al momento del processo. I MOTIVI DI REVISIONE I motivi per cui può essere chiesta la revisione di un processo penale sono tassativamente previsti dall’art. 630 del codice di procedura penale, e sono: a) se i fatti stabiliti a fondamento di una sentenza o di un decreto penale di condanna sono già stati oggetto di una precedente sentenza irrevocabile; b) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato in base ad una sentenza civile o amministrativa poi revocata, la quale abbia deciso in ordine a questioni pregiudiziali concernenti lo stato di famiglia o di cittadinanza, oppure di particolare complessità, come previsto dall’articolo 479; c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto; d) se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato. IL PROCEDIMENTO DI REVISIONE Tale mezzo di impugnazione straordinario è riservato ai soli condannati, ai prossimi congiunti, agli eredi ed al procuratore generale e quindi solo in favore del condannato. Il procedimento si sviluppa mediante presentazione della domanda formale di revisione presso l’autorità competente. Ai sensi dell’art. 633 co. 1 c.p.p. l’autorità competente è la Corte di Appello diversa da quella in cui si è svolto il giudizio divenuto irrevocabile, determinata in base alla medesima tabella con cui si individua la competenza per il procedimento riguardante i magistrati (art. 11 c.p.p.) Vi sono sostanzialmente due fasi, l’una rescindente e l’altra rescissoria; la prima è costituita dalla valutazione che avviene de plano, senza avviso al difensore della data fissata per la camera di consiglio, prevista per la valutazione dell’ammissibilità della relativa istanza e mira a verificare che essa sia stata proposta nei casi previsti e con l’osservanza delle norme di legge, nonchè che non sia manifestamente infondata. La seconda fase è invece costituita dal giudizio di revisione mirante all’accertamento e alla valutazione delle “nuove prove”, al fine di stabilire se esse, sole o congiunte a quelle che avevano condotto all’affermazione di responsabilità del condannato, siano tali da portare al proscioglimento dal reato ascritto. L’ESITO DEL PROCEDIMENTO DI REVISIONE L’esito della fase di delibazione può condurre a diversi esiti: a una declaratoria di inammissibilità o ad una ordinanza di ammissibilità della richiesta. La declaratoria di ammissibilità è emessa nei casi previsti dall’art. 634 c.p.p. Ai sensi dell’art. 634 c.p.p la Corte d’Appello dichiara con ordinanza l’inammissibilità e può condannare il privato che ha proposta richiesta al pagamento a favore della casa delle ammende di una somma quando la richiesta è proposta fuori delle ipotesi previste dagli artt. 629 e 630 o senza l’osservanza delle disposizioni previste ex lege ovvero risulta manifestamente infondata. L’altro esito cui può giungere la Corte d’Appello è l’accoglimento della richiesta di revisione. Con questa l’imputato torna ad essere tale e ka Corte d’Appello può in ogni momento disporre con ordinanza la sospensione dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza applicando se del caso una delle misure cautelari previste dal codice. Il giudizio inizia con le richieste di assunzione delle prove a discarico che già in precedenza erano state indicate o allegate. È la novità delle prove che deve convincere dell’innocenza o quantomeno fare sorgere il ragionevole dubbio dell’innocenza. Al termine del giudizio verrà emessa la sentenza che può essere di accoglimento e in questo caso il giudice revoca la sentenza di condanna o il decreto penale di condanna e pronuncia il proscioglimento, indicandone la causa nel dispositivo. La sentenza può essere anche di rigetto della richiesta. In questo caso il giudice condanna la parte privata che l’ha proposta al pagamento delle spese processuali. [...]
Luglio 1, 2024Il testamento Il testamento è un atto solenne che deve essere redatto in forma scritta per essere valido (nel nostro ordinamento non è ammesso il testamento orale). Esistono varie forme di testamento: ordinarie e speciali.  Tra i testamenti ordinari ci sono il testamento olografo e il testamento notarile, che può essere pubblico o segreto. Testamento olografo Il testamento olografo è la forma più semplice di testamento. Secondo l’art. 602 c.c., il testamento deve essere interamente scritto, datato e sottoscritto dal testatore. La scrittura a mano garantisce l’autenticità della volontà del testatore. Non è valida una versione scritta a macchina o stampata, anche se firmata. La collaborazione di un terzo nella scrittura invalida il documento, mentre la consulenza di un professionista è ammessa se il testamento è interamente ricopiato a mano e firmato dal testatore. In caso di disconoscimento, chi vuole far valere il testamento deve provarne l’autenticità. La data deve indicare giorno, mese e anno di stesura e serve a verificare la capacità del testatore e la validità rispetto a eventuali testamenti successivi. La sottoscrizione deve essere in calce e identificare il testatore con certezza. Testamento pubblico Il testamento pubblico è redatto da un notaio con specifiche formalità, garantendo l’integrità e la provenienza della volontà del testatore grazie alla presenza di testimoni e alla scrittura notarile. I requisiti includono la dichiarazione orale del testatore al notaio, la presenza di testimoni, la redazione scritta del testamento da parte del notaio, la lettura del documento al testatore e ai testimoni, e le firme di tutti i presenti.  L’atto pubblico fa piena prova delle dichiarazioni delle parti e dei fatti attestati dal notaio. Testamento segreto Il testamento segreto consente al testatore di mantenere riservate le sue disposizioni, offrendo maggiore garanzia di conservazione rispetto al testamento olografo. E’ costituito da una scheda testamentaria preparata dal testatore e di un atto di ricevimento redatto dal notaio, che attesta la consegna della scheda da parte del testatore alla presenza di due testimoni. La scheda viene sigillata e firmata dal testatore, dai testimoni e dal notaio. Può essere scritta da un terzo o con mezzi meccanici, ma deve essere sottoscritta dal testatore. La data è quella dell’atto di ricevimento.  Il testamento segreto può essere ritirato in qualsiasi momento, revocandone l’efficacia a meno che non valga come olografo.  Oltre alle forme ordinarie, esistono anche forme speciali di testamento, applicabili in circostanze particolari: 1. Testamento internazionale Riconosciuto a livello internazionale, deve essere scritto in qualsiasi lingua e firmato dal testatore in presenza di due testimoni e un notaio o altro pubblico ufficiale. 2. Testamento speciale Utilizzato in situazioni eccezionali, come calamità naturali o durante conflitti bellici. Le forme possono variare, ma generalmente richiedono meno formalità rispetto alle forme ordinarie. Queste forme di testamento garantiscono che le ultime volontà del testatore siano espresse in modo valido e rispettoso delle normative legali. [...]
Giugno 25, 2024Il caso A.F. era imputato in un processo penale per il reato di atti persecutori nei confronti della compagna. Il primo grado di giudizio si concludeva con una sentenza di condanna nei confronti di A.F. alla pena di anni 1 di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della compagna, parte civile costituita. Veniva quindi redatto e depositato atto di appello avverso la sentenza di primo grado, evidenziando tutti gli elementi che rendevano inverosimile la tesi accusatoria accolta dal Tribunale. Successivamente si depositavano anche motivi aggiunti, chiedendo che la parte civile fosse nuovamente esaminata, rinnovando l’istruttoria dibattimentale. La Corte d’Appello, in accoglimento della richiesta difensiva, disponeva la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per il nuovo esame della parte civile. Dopo la discussione di tutte le parti, la Corte d’Appello, in totale riforma della sentenza di primo grado, assolveva A.F. dal reato contestato. La sentenza di secondo grado non veniva impugnata e diventava così irrevocabile. A.F. si recava quindi in Studio per valutare la possibilità di recuperare le spese legali sostenute nel processo. La norma Con la legge n.178/2020 è stato istituito un fondo statale per il rimborso delle spese legali in favore di coloro che, coinvolti in un processo penale quale imputati, vengano assolti con sentenza definitiva, emessa in data successiva al 1 gennaio 2021. Al fine di ottenere il rimborso, il soggetto deve essere stato assolto con sentenza definitiva, pronunciata “perché il fatto non sussiste”, “perché l’imputato non ha commesso il reato” , “perché il fatto non costituisce reato” o nell’ipotesi in cui “il fatto non è previsto dalla legge come reato” qualora la pronuncia di assoluzione sia intervenuta successivamente alla depenalizzazione dei fatti oggetto di imputazione. Il diritto al rimborso non spetta invece all’imputato assolto da uno o più capi di imputazione e condannato per altri reati, in caso di estinzione del reato per amnistia o avvenuta prescrizione, o per sopravvenuta depenalizzazione dei fatti oggetto dei capi di imputazione. Allo stesso modo, non può usufruire del rimborso delle spese legali chi ha beneficiato del patrocinio a spese dello Stato, chi ha ottenuto la condanna del querelante alla rifusione delle spese di lite ed infine chi ha diritto al rimborso delle spese legali dall’ente da cui dipende. Come e quando fare la domanda di rimborso La domanda di rimborso delle spese legali deve essere presentata sull’apposita piattaforma telematica istituita dal Ministero della Giustizia mediante SPID. L’istanza deve essere depositata, a pena di esclusione, entro il 31 marzo dell’anno successivo a quello in cui la sentenza di assoluzione è divenuta irrevocabile. Ai fini della valutazione della richiesta, l’istanza di rimborso deve tassativamente contenere: dati anagrafici e codice fiscale dell’imputato assolto; indicazione dell’ufficio giudiziario che ha emesso la pronuncia irrevocabile; data della sentenza e data della sua irrevocabilità; numero R.G.N.R. e numero R.G.GIP/TRIB. del procedimento; formula assolutoria; durata del processo e grado di giudizio nel quale la sentenza è stata pronunciata; importo totale delle spese legali pagate con il relativo parere di congruità emesso dall’Ordine degli Avvocati e contabili dei bonifici effettuati; reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito risultante dalla dichiarazione relativa all’anno precedente a quello del passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione; coordinate IBAN; indirizzo mail/pec per eventuali comunicazioni circa il deposito dell’istanza. Una volta effettuata l’istanza di rimborso, allegando i relativi documenti richiesti, la stessa verrà valutata dal Ministero che in primis verificherà la corrispondenza tra quanto dichiarato e quanto emerge dalla documentazione allegata. Conclusa la fase di verifica, verrà predisposto l’elenco contenente le istanze ammesse, indicando per ognuna l’importo rimborsabile che non potrà superare la cifra massima di Euro 10.500. [...]
Giugno 24, 2024Il caso G.M. si reca davanti il negozio U. e distribuisce volantini dallo stesso realizzati per avvisare la clientela sulle pratiche ritenute scorrette di U. Due dipendenti di U. chiamano le forze dell’ordine, ritenendo di essere diffamati da G.M. Successivamente G.M. viene denunciato da U. per diffamazione aggravata e processato dinnanzi il Tribunale di Milano. La contestazione che viene mossa a G.M. è quella di cui agli artt. 81 II comma e 595 comma III c.p. perché con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso compiva atti finalizzati a ledere il prestigio e la reputazione dell’impresa U. consegnando ai clienti del punto vendita volantini contenenti frasi offensive su U. G.M. viene condannato in primo grado dal Tribunale alla pena della multa, oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni alla parte civile costituita U. G.M. si rivolge allo Studio per impugnare la sentenza di primo grado. Le norme in materia A fronte della contestazione operata dalla Procura della Repubblica e della valutazione del Tribunale di penale responsabilità di G.M., in sede di atto di appello si fondava l’impugnazione sull’omesso riconoscimento dell’esimente del diritto di critica ex art. 51 c.p. L’art. 51 c.p. individua infatti due cause di giustificazione idonee ad annullare la rilevanza penale di un comportamento, ovvero l’esercizio di un diritto e l’adempimento di un dovere. L’esimente dell’esercizio di un diritto si fonda sul diritto riconosciuto e tutelato costituzionalmente di cui all’art. 21 primo comma Cost., secondo cui ciascuno ha il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. All’interno del disposto costituzionale trova quindi un fondamento giuridico il diritto di critica, i cui limiti applicativi sono stati spesso oggetto di pronunce giurisprudenziali volte ad individuare gli elementi che consentono all’interprete di ricondurre un comportamento entro i limiti dell’esercizio di un diritto ex art. 51 c.p. La Suprema Corte in numerose pronunce ha sostanzialmente precisato che il legittimo esercizio del diritto di critica si fonda, da una parte, sulla rilevanza sociale dell’argomento trattato e dall’altra sulla correttezza formale delle espressioni adoperate. Il diritto di critica si realizza quindi nell’espressione di un giudizio, di una opinione, come tale fondata su un’interpretazione dei fatti e dei comportamenti dal punto di vista di chi la manifesta. Ed il giudizio, per definizione, non può essere rigorosamente obiettivo ed imparziale, in quanto è ineludibile espressione del retroterra culturale e formativo di chi lo formula. La responsabilità di G.M. G.M. si rendeva protagonista di una condotta di volantinaggio nei confronti di terzi al fine di mettere questi ultimi a conoscenza di circostanze soggettivamente rilevanti in tema di garanzie e tutele del consumatore nell’assistenza del venditore per eventuali malfunzionamenti del prodotto acquistato. L’imputato aveva quale fine della propria attività il portare a conoscenza di terzi le ragioni per le quali non si riteneva, ancora soggettivamente, consigliabile rivolgersi a U. per l’acquisto di prodotti di elettronica. Ed infatti i volantini sono riconducibili proprio ad una valutazione personale, fondata su precedenti esperienze sia proprie sia altrui, in ambito elettronico. La decisione della Corte d’Appello All’udienza del processo di appello il Procuratore Generale chiedeva la conferma della sentenza di primo grado. La parte civile si associava, chiedendo la liquidazione delle spese legali del grado di appello. La difesa si riportava al proprio atto di appello ribadendo la mancanza di alcuna volontà diffamatoria in capo a G.M., anche per effetto del diritto di critica. La Corte di Appello assolveva G.M. dal reato contestatogli perché il fatto non costituisce reato per riconoscimento dell’esimente del diritto di critica. [...]
Giugno 1, 2024C.V si recava presso il nostro studio, indagato per il reato di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti disciplinato all’art. 73 DPR 309/90. In particolare veniva trovato in possesso di 40 gr. di hashish, che il cliente riferiva essere destinato a uso personale. A seguito di perquisizione domiciliare veniva tuttavia sottoposto a sequestro un bilancino. C.V. veniva così denunciato all’Autorità Giudiziaria ritenendo che la condotta configurasse il reato di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente. NORMATIVA Per quanto riguarda l’art 73 DPR 309/90 la norma stabilisce che chiunque si presti ad attività quali produrre, coltivare, vendere o commerciare sostanze stupefacenti o psicotrope senza regolare autorizzazione del Ministero è punito con la reclusione da sei a venti anni oltre che al pagamento di una multa da Euro 26.000 a Euro 260.000. Inoltre allo stesso articolo si sancisce che laddove le modalità, le circostanze dell’azione o le qualità e quantità delle sostanze, siano di lieve entità, la pena è quella della reclusione da sei mesi a cinque anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329. Questa è la normativa in vigore laddove l’illecito sia qualificato come penalmente rilevante. Ci sono però casi in cui alla detenzione di sostanze stupefacenti non consegue una sanzione penale ma solo una o più sanzioni di tipo amministrativo. USO PERSONALE All’art. 75 DPR 309/90 è stabilito che chiunque per uso personale acquisti e detenga sostanze stupefacenti incorre in sanzioni amministrative, e non penali, quali ad esempio la sospensione della patente di guida, la sospensione del passaporto oppure del permesso di soggiorno. Tali sanzioni hanno una validità di qualche mese nel minimo, con un massimo di un anno. STRATEGIA PROCESSUALE C.V., una volta ricevuta la contestazione con la formulazione del capo di imputazione, che riportava la ritenuta violazione dell’art. 73 comma 5 DPR 309/90, veniva posto innanzi alla scelta della strategia processuale, da valutarsi anche in relazione all’età (23 anni). In particolare proponevamo al cliente la valutazione tra un patteggiamento, con una diminuzione della pena fino a un terzo, oppure la presentazione della domanda di messa alla prova, istituto che consente un importante vantaggio derivante dal mantenere pulita la fedina penale. C.V. sceglieva di procedere alla richiesta di messa alla prova, che tutt’ora sta svolgendo presso l’associazione individuata operante nel terzo settore. ESITO DEL PROCESSO PENALE La sospensione del processo con messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose derivanti dal reato, attraverso lo svolgimento di un programma di volontariato di rilievo sociale. È un istituto concedibile solo una volta e attivabile sin dalla fase delle indagini preliminari. Essendo una modalità alternativa di definizione del processo, il nostro assistito potrà ottenere una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato laddove il periodo di lavori socialmente utili si concluda con esito positivo. [...]
Dicembre 28, 2023Il permesso di soggiorno per residenza elettiva può essere richiesto dai cittadini extraUE che intendano stabilirsi in Italia e godano di risorse economiche sufficienti a mantenersi autonomamente e senza esercitare alcuna attività lavorativa. Il reddito minimo richiesto dalla legge che lo straniero deve soddisfare ai fini dell’ottenimento del visto per residenza elettiva è pari a 31.000 euro l’anno, per il singolo istante. IN QUALI CASI PUO’ ESSERE RICHIESTO La richiesta di permesso di soggiorno per residenza elettiva è consentita in diversi casi, che possono essere riassunti come segue: Il cittadino straniero in possesso di un visto per residenza elettiva ha diritto a fare ingresso in Italia, a condizione di poter dimostrare di avere risorse economiche sufficienti a mantenersi senza svolgere attività lavorativa, quali pensioni, vitalizi, proprietà immobiliari, o altre fonti di reddito diverse dal lavoro. È richiesta altresì la disponibilità di un’abitazione da eleggere a residenza; Il cittadino straniero, già titolare di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato, autonomo o per motivi familiari, può richiedere la conversione del permesso di soggiorno, quando questo cessi di lavorare e diventi titolare di una pensione, di vitalizi o di rendite; Il cittadino straniero, familiare di cittadino comunitario, può richiedere il permesso di soggiorno per residenza elettiva qualora non rientri nella definizione di familiare di cittadino comunitario, ma ne dimostri la convivenza stabile o la parentela, sulla base di documentazione rilasciata dal paese di provenienza del cittadino UE prima del trasferimento in Italia; MODALITA’ DI RICHIESTA DEL PERMESSO E RELATIVA DURATA Il cittadino extra UE deve presentare domanda di permesso di soggiorno entro 8 giorni dall’ingresso in Italia e il permesso di soggiorno dura un anno, rinnovabile presso la Questura se permangono i requisiti.La domanda di rilascio del permesso di soggiorno per residenza elettiva è presentata con kit postale, allegando tutta la relativa documentazione attestante il possesso dei requisiti richiesti.Una volta accolta la domanda, il permesso di soggiorno si ritira in Questura, previa attestazione della documentazione relativa alla polizza sanitaria stipulata valida per tutta l’area Schengen e che abbia una copertura assicurativa minima di 30.000 euro e una durata minima di 30 giorni. TERMINI PER RILASCIO DI PERMESSO DI SOGGIORNO ILLIMITATO/CITTADINANZA ITALIANA Dopo il quinto anno è possibile richiedere il permesso di soggiorno di lungo periodo (ex carta di soggiorno). Dopo dieci anni dall’inizio della residenza in Italia sarà possibile presentare la domanda per la concessione della cittadinanza italiana. COSA FARE IN CASO DI RIGETTO DELLA DOMANDA DI PERMESSO L’eventuale provvedimento di rigetto della domanda di permesso di soggiorno per residenza elettiva da parte della Questura competente può essere impugnato al TAR con ricorso da notificare entro 60 giorni, salva la possibilità di presentare ricorso gerarchico al Prefetto competente. [...]
Dicembre 6, 2023IL CASO B.N. veniva processato per il reato previsto dall’art.570 comma 2 codice penale poiché, dopo la separazione dalla compagna F.Z., violava gli obblighi di natura economica inerenti alla propria responsabilità genitoriale nei confronti del figlio minorenne. Gli veniva contestato di non pagare regolarmente l’assegno di mantenimento dovuto per il figlio minore, che è ciò che scriveva in denuncia F.Z. A fronte della contestazione, B.N. si riteneva assolutamente innocente, ritenendo di poter dimostrare tramite testimoni e documenti di aver sempre versato il mantenimento in contanti alla ex compagna. E così B.N. decideva di essere processato in rito ordinario. L’istruttoria dibattimentale, costituita dall’esame della parte offesa (ex compagna), dell’imputato B.N. e di due testimoni, consentiva di accertare che l’assegno di mantenimento era sempre stato corrisposto, al contrario di quanto affermava in denuncia F.Z. Il Tribunale di Milano, a conclusione del processo, pronunciava nei confronti di B.N. sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste”, sentenza poi diventata definitiva. E proprio all’esito del processo B.N. manifestava l’intenzione di denunciare la ex compagna F.Z. per il reato di calunnia. LA NORMATIVA Il reato di calunnia consiste nell’incolpare un’altra persona di aver commesso un reato, pur sapendola innocente. La calunnia nel nostro ordinamento è disciplinata dall’art. 368 del codice penale, che sancisce che chiunque, con denuncia, querela, richiesta, istanza anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità Giudiziaria o ad un’altra Autorità, incolpa qualcuno che sa essere innocente di un reato, oppure simula a suo carico tracce di un reato è punito con la reclusione da due a sei anni. Si può quindi distinguere una duplice possibilità di configurazione del reato: la prima è la calunnia formale, se il reato è stato effettivamente commesso, e l’accusatore incolpa un innocente; la seconda è invece una calunnia materiale, se le tracce di reato sono state simulate. Le tracce in questione possono consistere sia in segni o indizi materiali, sia in segni sulla persona del denunciante o su altri, e dovranno inequivocabilmente essere diretti a indicare il soggetto innocente, ma incolpato, come responsabile del reato. Il reato di calunnia si pone quindi ad impedire che l’apparato giudiziario sia attivato inutilmente. L’articolo del codice penale aggiunge inoltre che la pena viene aumentata se ad essere incolpato è qualcuno per il quale la Legge stabilisce la pena della reclusione superiore a dieci anni o un’altra pena più grave.Se invece dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni, la pena varia da quattro a dodici anni e se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo la pena varia da sei a venti anni. Infine si precisa che il reato di calunnia è procedibile d’ufficio con competenza del Tribunale in composizione monocratica. IL PROCEDIMENTO PENALE PER CALUNNIA B.N. provvedeva quindi a denunciare F.Z. per il reato di calunnia, per averlo incolpato di un reato che non aveva commesso. F.Z. infatti aveva scritto nella propria denuncia di non aver ricevuto l’assegno di mantenimento per il figlio minore, ben sapendo di averlo in realtà ricevuto, e ciò per un periodo di circa 10 mesi. Al termine delle indagini preliminari il P.M. titolare del fascicolo emetteva avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p. contestando a F.Z. la violazione dell’art. 368 codice penale. Successivamente il P.M. rinviava a giudizio F.Z. ed è attualmente in corso il dibattimento. B.N. si è costituito parte civile nel procedimento penale a carico di F.Z. al fine di chiedere che quest’ultima sia anche condannata al risarcimento dei danni in proprio favore, avendo sostenuto spese legali per difendersi e avendo dovuto affrontare un processo pur essendo innocente. [...]
Novembre 28, 2023IL CASO M.G. veniva condannata alcuni fa per vari reati di truffa ex art. 640 c.p. uniti sotto il vincolo della continuazione, e la sentenza, dopo un passaggio anche in Corte di Cassazione, diventava definitiva. La stessa, dopo aver scontato interamente la pena prevista, si rivolgeva al nostro Studio avendo la volontà di ripulire la propria fedina penale, soprattutto per partecipare ad un concorso pubblico la cui ammissione non era consentita in presenza di condanne passate in giudicato, a meno che non fosse intervenuta la riabilitazione. LA NORMATIVA IN MATERIA L’Istituto della riabilitazione penale viene disciplinato dall’art.178 del codice penale, in cui si sancisce che “la riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna…”.1 Requisito fondamentale per chiedere la concessione della riabilitazione è che siano trascorsi almeno tre anni (otto per i recidivi aggravati, dieci per i delinquenti abituali) dal giorno in cui si è estinta la pena e il condannato abbia dato, nel tempo, prove effettive di buona condotta.   Lo stesso non deve quindi aver commesso altri reati, oltre ad aver pagato le spese di giustizia relative al processo penale (spese processuali ed eventuali spese di mantenimento in carcere) e l’eventuale somma per il risarcimento del danno laddove previsto in sentenza. In presenza di tutti i requisiti di legge, l’istanza di riabilitazione può essere depositata dal soggetto condannato o dal difensore di fiducia (munito di apposita nomina), rivolta al Tribunale di Sorveglianza competente secondo il luogo di residenza dell’interessato. L’istanza di riabilitazione deve inoltre essere corredata dai seguenti documenti: documento di identità e documentazione riguardante l’eventuale risarcimento del danno corrisposto. Consigliabile è anche la produzione della sentenza di condanna per la quale si domanda la riabilitazione. Si precisa infine che l’art. 179 c.p. prevede due condizioni ostative alla concessione della riabilitazione: la prima è costituita dalla circostanza che il condannato sia stato sottoposto a misura di sicurezza diversa dall’espulsione dello straniero dallo Stato o dalla confisca ed il provvedimento non sia stato revocato; la seconda consiste nel mancato adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, in assenza della prova da parte del condannato di essersi trovato nell’impossibilità di adempierle. LA SOLUZIONE Pertanto, in seguito ad uno studio approfondito del caso, recuperata la documentazione inerente il regolare pagamento delle spese processuali e del risarcimento del danno, veniva predisposta un’istanza per la riabilitazione penale, avendo la cliente i requisiti previsti per avanzare tale richiesta. La stessa ha infatti ottenuto dal Tribunale di Sorveglianza competente il provvedimento di riabilitazione, in tempo utile per partecipare al concorso pubblico, potendo dichiarare nella relativa autocertificazione di aver riportato una condanna penale e di aver ottenuto la riabilitazione sulla stessa. “La riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti(1). ↩︎ [...]
Luglio 21, 2023Il casoP.B. incarica lo Studio per presentare querela nei confronti di R.C. per il reato di cui all’art. 570 c.p. perchéomette di versare il mantenimento stabilito dal Tribunale in sede civile per i due figli minori A. e F. da ormai8 anni.Viene pertanto preparato e depositato apposito atto di querela nei confronti di R.C. e la Procura dellaRepubblica di Milano, concluse le indagini, dispone la citazione a giudizio nei confronti di R.C.R.C. decide di essere giudicato in rito ordinario. Le norme in materiaL’art. 570 c.p. prevede che chiunque si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilitàgenitoriale, alla tutela legale o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con lamulta da centotre euro a milletrentadue euro.Queste stesse pene si applicano anche a chi, come appunto nel nostro caso, dilapida i beni del figlio minoreo del coniuge oppure fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori, ai genitori o al coniuge. Il dibattimentoNel corso del dibattimento P.B., costituitasi parte civile al fine di chiedere il risarcimento dei danni, spiega alGiudice la propria situazione economica, che non consente di provvedere al sostentamento della famiglia,necessitando quindi di aiuti economici da parte dei genitori, soprattutto per il pagamento di rettescolastiche e mensa di entrambi i figli minori.Anche R.C. decide di rendere esame in dibattimento e spiega al Giudice di essere andato incontro a graviperdite finanziarie, di non svolgere attività lavorativa e di essere in cerca di lavoro. L’esito del processoCome difesa di parte civile si chiede che R.C. sia condannato alla pena ritenuta di giustizia e sia condannatoal risarcimento dei danni in favore di P.B., pari al mantenimento arretrato e non corrisposto.L’avvocato di R.C. chiede l’assoluzione.Il Giudice alla fine condanna R.C. per il reato di cui all’art. 570 c.p. alla pena di mesi 3 di reclusione,condannandolo altresì al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi in un separatogiudizio civile, oltre a una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 15.000. [...]
Luglio 14, 2023Il caso La società A. SRL, iscritta al registro delle imprese di Milano, si rivolgeva allo Studio per essere assistita nella valutazione della strada migliore per l’assunzione di alcuni lavoratori extra UE necessari per la continuità aziendale. In particolare A. SRL necessitava di figure specializzate, sia in ambito dirigenziale sia in ambito tecnico specialistico. La ricerca era altresì caratterizzata dalla massima urgenza e necessità di inserimento delle nuove figure, già individuate e residenti all’estero. Le norme in materia L’assunzione di lavoratori extra UE da parte di imprese con sede in Italia avviene sostanzialmente tramite due distinte procedure, il decreto flussi e la carta blu. In particolare la procedura “Carta Blu” consente di assumere lavoratori stranieri in Italia, altamente qualificati, i quali riceveranno poi dalla Questura di competenza (in base alla residenza del lavoratore) un permesso di soggiorno per Carta blu appunto, rilasciato dopo la stipula del contratto di lavoro presso lo Sportello Unico per l’immigrazione. La durata del permesso di soggiorno è biennale se il rapporto di lavoro è a tempo indeterminato mentre è di 1 anno se il rapporto di lavoro è a tempo determinato. La soluzione Dopo aver esaminato tutte le procedure possibili, lo Studio consigliava a A. SRL di assumere i lavoratori selezionati mediante la procedura “Carta Blu”, procedura peraltro che gode di una valutazione prioritaria in Prefettura. La domanda veniva presentata direttamente dallo Studio per conto del datore di lavoro, naturalmente dopo la verifica di sussistenza di tutti i requisiti richiesti dalle norme in vigore. In particolare il decreto legislativo 286/1998 all’art. 27 quater stabilisce i requisiti necessari per accedere alla procedura di rilascio della c.d. Carta Blu, che possono essere riassunti come segue: Possesso di un titolo di istruzione superiore, rilasciato dall’autorità competente nel Paese di conseguimento con indicazione del percorso di istruzione di durata almeno triennale e della relativa qualifica professionale superiore (dichiarazione di valore); Contratto di lavoro di durata almeno di 1 anno; Retribuzione offerta al lavoratore non inferiore a 24.789,00 euro lordi all’anno; Disponibilità di un alloggio per il lavoratore nel rispetto dei parametri di legge. Nel caso di A. SRL tutti i requisiti richiesti dalla norma erano pienamente sussistenti e la verifica preliminare aveva già dato esito positivo. La Prefettura concludeva poi positivamente l’iter di valutazione, rilasciando nulla osta in favore del lavoratore, che veniva trasmesso al medesimo affinché potesse chiedere il rilascio del visto di ingresso. Una volta entrato in Italia, veniva chiesto alla Prefettura di fissare l’appuntamento per la firma del contratto di lavoro presso lo Sportello Unico Immigrazione, alla presenza di datore di lavoro e lavoratore, occasione nella quale veniva altresì rilasciato il modulo per avanzare domanda di rilascio del permesso di soggiorno. Veniva quindi richiesto alla Questura il rilascio del titolo, regolarmente rilasciato per la durata di anni 2 trattandosi di contratto a tempo indeterminato. [...]
Giugno 19, 2023La società a responsabilità limitata semplificata (SRLS) è una tipologia di società di capitali introdotta nel nostro ordinamento a partire dal 2012. La sua disciplina è contenuta nell’art. 2463-bis c.c.  e sostanzialmente per “semplificata“ si intende che la società gode di costi iniziali più bassi rispetto alla SRL. CARATTERISTICHE PRINCIPALI Le caratteristiche principali della S.R.L.S. possono essere così riassunte: i soci possono essere solo persone fisiche e non giuridiche; l’atto costitutivo e lo statuto non possono essere modificati; il capitale sociale minimo è di 1 euro mentre il capitale massimo non può superare €9.999; il capitale deve essere interamente versato in denaro al momento della costituzione; non possono essere conferiti beni e/o servizi. MODALITA’ DI COSTITUZIONE La SRLS si costituisce dinanzi ad un notaio (rispetto alla SRL ordinaria non è dovuto l’onorario del notaio per l’atto di costituzione). Si dovranno però sostenere le spese e le imposte come nel caso delle SRL (diritti camera di commercio, costi del commercialista, ecc.). Devono quindi essere stipulati anzitutto lo statuto e l’atto costitutivo che contengono l’oggetto sociale (la descrizione dell’attività svolta) e che regolano il funzionamento della società. Questi documenti devono essere firmati dai soci in presenza di un notaio. Successivamente, sarà necessario iscrivere la società nel Registro delle Imprese entro 10 giorni dalla costituzione, richiedere il codice fiscale o la partita IVA e il codice ATECO, presentare la segnalazione certificata di inizio attività alla Camera di Commercio, e svolgere tutti gli adempimenti fiscali e burocratici necessario (libri sociali e contabili ecc.). VANTAGGI DELLA SRLS L’introduzione della SRL semplificata è avvenuta per favorire l’imprenditoria giovanile, dando la possibilità di creare una società con costi ridotti. Può quindi essere una soluzione ottimale per chi intende avviare un’attività con bassi investimenti iniziali, ma la SRLS presenta ovviamente alcuni limiti rispetto alla SRL ordinaria. Per esempio non è possibile nella SRLS modificare lo statuto e il ridottissimo capitale sociale comporta maggiori difficoltà nell’ottenimento di finanziamenti. La gestione della SRLS risulta invece del tutto equiparabile a quella di una SRL, non essendovi differenze nel calcolo delle imposte e del trattamento fiscale, dovendo presentare le medesime dichiarazioni dei redditi e il medesimo bilancio annuale. La principale differenza tra la SRL e la SRL semplificata riguarda quindi il momento della costituzione. [...]
Maggio 30, 2023Il caso F.S. viene fermato dai Carabinieri alla guida della propria autovettura e denunciato per guida in stato di ebbrezza, essendo stato rilevato un tasso alcolemico di 1,2 g/l. F.S. è incensurato e si rivolge allo Studio per essere assistito nel processo penale che consegue dalla guida in stato di ebbrezza. Le norme in materia La guida in stato di ebbrezza è un reato di natura contravvenzionale, sanzionato dall’art. 186 del Codice della Strada. Il conducente di un veicolo è considerato in stato di ebbrezza qualora il tasso alcolemico sia superiore a 0,5 grammi per litro, e in tal senso l’art. 186 comma 2 C.D.S. distingue tre fasce sanzionatorie differenti in base al tasso alcoolico riscontrato. 1° fascia – TASSO ALCOLEMICO TRA 0,5 E 0.8 G/L Ove il fatto non costituisca reato più grave, se il valore del tasso alcoolico risulta essere compreso tra 0,5 e 0,8 g/l, non è prevista una sanzione penale ma unicamente una sanzione amministrativa, che consiste nel pagamento di una somma da Euro 543 a Euro 2.170, oltre alla sospensione della patente (da parte del Prefetto) per un periodo dai tre ai sei mesi, 2° fascia – TASSO ALCOLEMICO TRA 0,8 E 1,5 G/L Qualora invece il tasso alcolico risultasse superiore a 0,8 g/l e fino a 1,5 g/l, tale condotta viene considerata penalmente punibile e la norma prevede una pena dell’ammenda da Euro 800,00 a euro 3.200 e l’arresto fino a 6 mesi, con sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno; 3° fascia – TASSO ALCOLEMICO SUPERIORE A 1,5 G/L Infine la terza e ultima fascia, che comprende un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l, prevede un’ammenda da Euro 1.500 sino ad Euro 6.000, e l’arresto da sei mesi ad un anno, oltre alla sospensione della patente di guida da uno a due anni. Tuttavia, in questa terza ipotesi, se il veicolo appartiene a persona diversa dal conducente, la durata della sospensione della patente è raddoppiata. Infine è prevista la confisca del veicolo con cui è stato commesso il reato. Nel caso di F.S. si applicano quindi le norme previste per la 2° fascia poichè è stato riscontrato un tasso alcolemico di 1,2 g/l. La soluzione Viene quindi esposta la situazione a F.S. con le pene previste per il suo caso concreto. Trattandosi di persona incensurata, viene anzitutto suggerita a F.S. la possibilità di chiedere la sostituzione della pena che sarà comminata dal Giudice penale con lo svolgimento di lavori di pubblica utilità, come previsto dal comma 9 bis dell’art. 186 C.D.S. Vengono esposte anche le soluzioni alternative, che sono caratterizzate sostanzialmente dalla scelta tra Messa alla Prova, rito abbreviato, patteggiamento e rito ordinario. F.S. accetta di buon grado la possibilità di svolgere i lavori di pubblica utilità, non volendo sporcare la propria fedina penale, avendo compreso che il positivo svolgimento dei lavori di pubblica utilità comporta l’estinzione del reato, la riduzione a metà del periodo di sospensione della patente di guida e la revoca della confisca dell’autovettura. L’ESITO DEL PROCESSO A F.S. viene notificato decreto penale di condanna, che viene opposto con richiesta di giudizio abbreviato, allegando alla relativa richiesta la lettera di disponibilità rilasciata da un ente per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. All’udienza il Giudice condanna F.S. alla pena di mesi 4 di reclusione ed Euro 1.000 di ammenda, convertiti nello svolgimento di lavori di pubblica utilità presso l’ente selezionato. [...]
Maggio 26, 2023Il caso A.L., cittadina russa e F.B. cittadino italiano, si rivolgono allo Studio per domandare quale sia la strada più corretta per poter consentire a A.L. di trasferirsi in Italia per convivere con F.B., al quale è legata già da 2 anni da relazione sentimentale. A.L. è cittadina extra UE residente all’estero mentre F.B. è cittadino italiano residente in Italia, ed entrambi desiderano andare a convivere, rimandando l’eventuale matrimonio ad un momento successivo. Le norme in materia Il permesso di soggiorno per motivi familiari è un titolo di soggiorno che può esser richiesto dai cittadini extra comunitari che intendono entrare in Italia, generalmente con un visto per ricongiungimento familiare, ossia qualora vi sia un famigliare regolarmente soggiornante nel Paese, all’esito del relativo iter in Prefettura.Qualora non vi sia un legame di sangue o di coniugio, è comunque possibile che trovi applicazione l’art. 3 comma 2 lett. b) del d.lgs. 30/2007, che, recependo la direttiva 2004/38/CE, riconosce pari diritto all’ingresso e relativo soggiorno del partner con cui il cittadino dell’Unione europea abbia una relazione stabile documentata anche mediante la registrazione della costituzione di convivenza di fatto. Per poter costituire e dichiarare una convivenza di fatto sono necessari alcuni requisiti, tra i quali essere maggiorenni ed essere uniti da legame affettivo di coppia. Il contratto viene redatto ai sensi della legge n. 76/2016, art. 50 e ss. in forma di atto pubblico o di scrittura privata, successivamente autenticata da un notaio o da un avvocato. La soluzione Dopo aver esaminato tutte le norme in vigore che regolano la materia, e tenuto conto anche dei pareri più volte espressi dai Comuni e dalle Questure nonché di alcune recenti pronunce dei Tribunali, si riferiva ad A.L. della possibilità di venire in Italia, con regolare visto turistico o equivalente, ed in Italia, dinnanzi a un Avvocato, stipulare un contratto di convivenza con F.B. Tale contratto deve poi essere registrato in Comune dall’Avvocato in qualità di pubblico ufficiale e contestualmente deve essere presentata domanda di residenza di A.L. e domanda di rilascio di permesso di soggiorno per motivi famigliari. A.L. provvedeva a fare entrambe le richieste; la Questura, alcuni mesi dopo la presentazione della domanda, convocava A.L. presso gli uffici del Commissariato per l’iter burocratico connesso al rilascio del titolo in qualità di convivente di F.B. Grazie al rilascio del titolo, anche il Comune accoglieva la domanda di iscrizione anagrafica, inserendo A.L. nel medesimo stato di famiglia di F.B. [...]
Maggio 15, 2023IL CASO E.L. e G.C., dopo oltre vent’anni di matrimonio decidono di separarsi. Nonostante i due abbiano deciso dunque di interrompere il matrimonio, a causa di una condizione economica che non permette a nessuno di loro di lasciare la casa familiare, le parti continuano temporaneamente a convivere. Il rapporto tra E.L. e G.C. è all’estremo della conflittualità, soprattutto per gli aspetti inerenti la prole, costituita da due figli minorenni. Tuttavia, il carattere remissivo di E.L. soccombe innanzi a quello estremamente più forte di G.C., la quale cerca di mettere in cattiva luce il marito, anche davanti ai figli, chiedendo poi nel ricorso di separazione giudiziale l’affidamento esclusivo dei figli. Poco tempo dopo a E.L. viene notificato avviso di conclusione delle indagini preliminari ai sensi dell’art.415 bis c.p.p., ove gli viene contestato il reato di maltrattamenti, asseritamente compiuto a danno della moglie e dei figli minori. Incredulo innanzi a tale notifica, E.L. contatta prontamente il proprio legale di fiducia, col quale inizia a pianificare una strategia difensiva al fine di dimostrare la sua assoluta innocenza. I PROFILI DI RILEVANZA PENALE A seguito della notifica dell’avviso di cui all’art.415bis c.p.p. si decideva di esperire – nel rispetto dei termini di 20 giorni dalla notifica dell’avviso – indagini difensive in favore di E.L., chiedendo che l’assistito venisse sottoposto a interrogatorio. In tale sede E.L. negava ogni addebito, ricostruendo i fatti in maniera diversa rispetto alla moglie e insistendo con forza per la propria assoluta innocenza rispetto al reato di maltrattamenti contestato. Allo stesso tempo si decideva di avvalersi dello strumento giuridico previsto e disciplinato dagli artt. 391 bis e ter c.p.p. che consente al difensore dell’indagato di raccogliere informazioni e dichiarazioni in ordine a circostanze utili a sostenere la propria strategia difensiva nel processo di merito. Vengono così escussi alcuni famigliari e conoscenti di entrambe le parti, i quali riportano una versione dei fatti del tutto compatibile con l’innocenza proclamata da E.L.  I risultati di tali indagini difensive, che ponevano in forte dubbio il racconto offerto dalla moglie e rafforzavano la versione resa dal marito, venivano in seguito depositati pochi giorni prima dell’udienza preliminare, così da poter entrare nel compendio probatorio che il Giudice deve tenere in considerazione ai fini della decisione. L’assistito decideva peraltro di non chiedere alcun rito alternativo e quindi veniva preparata l’udienza preliminare allo scopo di domandare l’emissione di sentenza di non luogo a procedere. In sede di udienza preliminare, il Giudice, a seguito delle conclusioni rassegnate dalle parti, preso atto della forte conflittualità delle parti motivata anche da ragioni economiche e inerenti la prole consequenziali alla separazione, ritenendo puramente pretestuosa la denuncia querela presentata da G.C., e dato atto inoltre di quanto emerso dalle indagini difensive, pronunciava sentenza di non luogo a procedere per la non sussistenza del fatto. [...]
Maggio 5, 2023IL CASO F.C., studente di 19 anni, organizza un picnic al parco con gli amici. Il gruppo decide che ognuno avrebbe portato qualche cosa. Chi cibo, chi bevande, chi posate… E così, una volta giunti tutti nel luogo stabilito, gli amici si rendono conto di non avere un coltello per tagliare le pietanze. Contattano così F.C., ritardatario, che, trovandosi ancora presso la propria abitazione, preleva un piccolo coltello da cucina da portare al picnic ed esce per raggiungere gli amici. Nei pressi del parco, alcuni operanti delle Forze dell’Ordine, ivi presenti per svolgere attività di controllo volta a contrastare l’attività di commercio di stupefacenti, incontrando F.C. procedere a passo spedito, munito di un piccolo borsello, lo fermano per sottoporlo a una perquisizione personale, all’esito della quale provvedono a redigere un verbale di sequestro del coltello rinvenuto ed al verbale di identificazione di F.C., il cui tentativo di fornire spiegazione agli operanti rimaneva del tutto inutile. PROFILI PENALI A seguito della redazione del verbale di identificazione e del sequestro del coltello, F.C. viene deferito in stato di libertà e pochi mesi dopo il fatto a F.C. veniva notificato decreto penale, col quale veniva condannato per il reato p. e p. dall’art.4 Legge 110/1975, che punisce coloro che, senza giustificato motivo portano fuori armi dalla propria abitazione o dalle appartenenze di essa. È chiaro come, nel concetto di armi, rientri pacificamente il piccolo coltello da cucina che F.C. portava con sè. Preoccupato, F.C. contattava subito il suo legale di fiducia al fine di esporgli i fatti. Il legale, dovendo procedere nel termine di 15 giorni dalla notifica ad opporre il decreto penale, decideva di svolgere prima una attività di indagini difensive ex art. 391 bis e ter c.p.p. In particolare veniva verbalizzata in forma integrale la deposizione resa da un teste relativamente ai fatti raccontati da F.C., testimonianza rivelatasi utile a confermare nel dettaglio la versione dell’imputato. Veniva così redatta e presentata opposizione a decreto penale, con richiesta di procedere nei confronti di F.C. mediante rito abbreviato condizionato all’acquisizione di quanto emerso dall’attività di indagine difensiva svolta. A fronte di ciò, e a seguito di dichiarazioni spontanee dell’imputato rese in sede di udienza, il Giudice per le indagini preliminari provvedeva ad assolvere F.C. con formula assolutoria piena e formula perché il fatto non costituisce reato. [...]
Maggio 5, 2023IL CASO P.V., una sera d’estate, si mette alla guida del proprio veicolo per recarsi ad una cena aziendale. Contro ogni aspettativa, trattandosi di zona molto trafficata, P.V. trova parcheggio proprio di fronte al ristorante. Spegne la macchina, chiude gli specchietti e si accinge a scendere dall’auto. Aprendo la portiera, tuttavia, P.V. non si avvede del ciclista che stava sopraggiungendo, travolgendolo. P.V., scosso e spaventato dall’accaduto, subito presta soccorso al ciclista, allertando immediatamente il 118. Il ciclista veniva trasportato all’ospedale più vicino, dove gli diagnosticavano una lesione giudicata guaribile in giorni superiori a quaranta. PROFILI PENALI A seguito di tale incidente e pochi mesi dopo il fatto, a P.V. veniva notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all’art.415 bis c.p.p., ove gli veniva contestato il reato previsto e punito dall’art. 590 bis comma 1 c.p., per aver cagionato, per sua colpa, una lesione personale grave, a seguito della violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale. Preoccupato, P.V. contattava subito il suo legale di fiducia, svolgendo la professione di consulente finanziario e non potendo sporcare la propria fedina penale. E così, esaminati gli atti del fascicolo processuale, il legale consigliava a P.V. di usufruire dell’istituto della Messa alla Prova, una forma di probation giudiziale che consiste, su richiesta dell’imputato, nella sospensione del procedimento penale per reati di minore allarme sociale, con svolgimento di lavori di pubblica utilità in favore di un ente. P.V. pertanto chiedeva di poter accedere alla Messa alla Prova e il Tribunale lo ammetteva, avendo P.V. nel frattempo provveduto al risarcimento del danno in favore della vittima del reato. Dopo lo svolgimento dei lavori, visto l’esito positivo degli stessi, il Tribunale pronunciava sentenza di non doversi procedere nei confronti di P.V. per essersi il reato estinto. [...]
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